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Parte 1 - Aspetti del paesaggio culturale del Casentino

Questo report rappresenta il prodotto della fase di Programmazione strategica della ricerca REACT_“Rigenerare i paesaggi culturali delle aree interne in una prospettiva people-centered. Borghi storici e territori rurali del Casentino come laboratorio di creatività e innovazione”.

La ricerca REACT, svolta dal 1° dicembre 2022 al 31 maggio 2025 presso l’Università di Firenze, si è aggiudicata il “Bando di Ateneo per il finanziamento di Progetti di ricerca competitivi della durata di 30 mesi nell’ambito delle tematiche del PNR 2021-2027” finanziato dall’Unione Europea – NextGenerationEU.

Il documento è costituito da una Introduzione e da due Parti.

Nell’Introduzione (La ricerca REACT) Antonio Lauria espone le caratteristiche connotanti del progetto (l’interdisciplinarietà dell’approccio, il coinvolgimento della comunità e la replicabilità) unitamente alla descrizione degli obiettivi, del disegno metodologico e dei risultati attesi.

Complessivamente le due Parti sono costituite da 15 Sezioni (nove la prima, da 1.1 a 1.9; sei la seconda, da 2.0 a 2.5). Le prime dieci Sezioni (da 1.1 a 2.0) sono articolate, con l’eccezione della Sezione 1.2, in due livelli: capitolo e paragrafo; le Sezioni da 2.1 a 2.4 in tre livelli: capitolo (Tematismo), paragrafo (Strategie di Intervento), sub paragrafo (Azione); la Sezione 2.5 è composta da un unico livello.

La prima Parte (Aspetti del paesaggio culturale del Casentino) descrive elementi qualificanti dell’identità della Valle. Le singole Sezioni che la costituiscono derivano, con alcune modifiche e integrazioni, dalla Sezione 3 del libro Lauria, A. (a cura di) 2025. Il paesaggio culturale come risorsa per la rigenerazione delle aree interne italiane_La ricerca REACT Casentino. Soveria Mannelli (CZ): Rubbettino. L’unica Sezione integralmente nuova è la 1.2.
Nella seconda Parte (Linee guida per la rigenerazione del paesaggio culturale del Casentino) si forniscono, in forma strutturata, idee e proposte per la valorizzazione dei paesi e dei paesaggi del Casentino nonché della cultura materiale e simbolica espressa attraverso le pratiche sociali dalle comunità locali. L’intento è contribuire all’attivazione di processi di sviluppo sostenibile capaci di creare valore socioeconomico e utilità comuni per gli abitanti del Casentino proteggendo/rinnovando i valori culturali, comunitari e ambientali.

 

L’immaginario paesaggistico della “Valle Chiusa”

Tessa Matteini

 

                                     

                                  Jacopo Ligozzi, Vista della Montagna della Verna dalla Strada del Casentino (Tavola A).
                       Frà Lino Moroni, Descrizione del Sacro Monte della Vernia, 1612, National Gallery of Washington.
                                                                                 (Fonte: Wikimedia Commons)

 

Il Casentino, la “Valle Chiusa”, è caratterizzato da paesaggio culturale che va indagato nella sua complessità, considerando non solo le sue caratteristiche fisiche e ambientali, ma anche le rappresentazioni e le percezioni stratificate nel tempo.

Nel contesto della ricerca REACT è essenziale partire dalle peculiarità geografiche, idrauliche, morfologiche, ecologiche, produttive e patrimoniali che hanno forgiato la Valle nel corso dei secoli. Tuttavia, le caratteristiche materiali non esauriscono la comprensione di questo territorio: occorre anche esplorare l’insieme di percezioni, immaginazioni e narrazioni letterarie e artistiche di coloro che l’hanno abitato o attraversato.

La Convenzione Europea del Paesaggio, del 2000, ha ribadito l’importanza di questi aspetti percettivi e simbolici: la percezione del paesaggio non è solo un fatto sensoriale, ma anche una costruzione culturale e collettiva frutto di una visione olistica che permette di superare la somma dei singoli elementi e di interpretare le stratificazioni storiche, ecologiche e simboliche di un luogo. Simmel, già nel 1913, affermava che solo attraverso una sintesi di elementi diversi la coscienza può riconoscere un paesaggio come totalità unitaria. E ancora, come osservano Zoppi e Moretti, percepire significa decodificare, riconoscere i valori culturali attribuiti da chi quel territorio lo vive nel presente, mantenendo la memoria del passato.

Da questo punto di vista, il Casentino è un esempio emblematico di paesaggio culturale stratificato. La sua identità si è andata sedimentando nel tempo anche attraverso un tessuto di narrazioni e immagini poetiche e letterarie.

Dalle celebri citazioni di Dante, che nelle tre Cantiche evoca i monti di Veso e Falterona e le acque dell’Archiano e dell’Acquacheta, ai versi di San Francesco nel Cantico delle Creature, le fonti letterarie hanno celebrato le peculiarità della Valle, i fiumi, le selve e i rilievi come elementi simbolici di bellezza e spiritualità. Ariosto, nell’Orlando furioso, paragona il territorio casentinese allo spartiacque dei Pirenei, sottolineando la sua peculiarità di luogo di passaggio e transito tra i due Mari: “il mar schiavo e tòsco”, l’Adriatico e il Tirreno.

Nei secoli successivi questo immaginario narrativo e iconografico ha continuato a evolversi: le opere di Campana, D’Annunzio, Papini, Pancrazi e Joergensen, come le descrizioni pittoriche di Ligozzi o Hackert, hanno restituito una visione del paesaggio casentinese come sintesi tra le diverse dimensioni storiche, naturalistiche e religiose. Fra le componenti fondamentali di questo immaginario spiccano l’acqua e le foreste: il sistema idrografico del Casentino, che alimenta l’Arno e i suoi affluenti, rappresenta tanto una risorsa paesaggistica quanto un elemento produttivo, talvolta causa di fragilità territoriali. Allo stesso modo le foreste, sin dall’epoca medioevale, sono state curate dai monaci di Camaldoli e della Verna, le cui regole hanno dato vita a una gestione consapevole legata alla dimensione spirituale. Nella tradizione monastica troviamo le radici del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, un’area protetta di grande valore.

Anche le novelle di Emma Perodi testimoniano questo intreccio tra paesaggio e racconto. Nelle sue storie, ambientate tra Medioevo e Ottocento, le foreste, le pievi e i castelli punteggiano la topografia casentinese, trasmettendo di generazione in generazione una rappresentazione idealizzata di questo paesaggio.

Accanto alla componente narrativa, l’immaginario del Casentino è stato arricchito dai diari e reportage di pellegrini e viaggiatori che nei secoli hanno descritto le loro esperienze, tramandando un’idea della Valle come sovrapposizione di differenti identità, legate di volta in volta agli aspetti religiosi, naturalistici, archeologici.

Alla luce di tutto questo, il Casentino emerge come un “paesaggio narrato” e un “paesaggio attraversato”, la cui identità non può prescindere da questo dialogo continuo tra percezione, memoria e immaginazione. È in tale intreccio tra geografia fisica e stratificazione culturale, tra economia preindustriale e turismo spirituale, tra cura del territorio e letteratura, che il paesaggio casentinese trova la sua dimensione. Riconoscerne il valore significa anche saper interpretare le voci passate e presenti, custodirne le risorse e immaginare futuri sostenibili, in sintonia con l’idea di paesaggio come espressione viva di una comunità e della sua storia

 

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Una valle di pievi, borghi e castelli

Pietro Matracchi, Giovanni Pancani

                         

                                         

                                         Pieve di San Pietro a Romena, Pratovecchio-Stia. (Foto di Antonio Lauria)

 

Il territorio casentinese conserva numerosi esempi di pievi e centri religiosi risalenti all’epoca medievale. Fonti e studi individuano le pievi della diocesi di Arezzo: Sant’Antonio a Socana, Santi Eleuterio-Rustico e Dionisio a Salutio, Santi Ippolito e Cassiano a Bibbiena, Santa Maria a Partina e a Buiano; nella parte sottoposta alla diocesi di Fiesole spiccano le pievi di San Martino a Vado presso Strada, Santa Maria a Montemignaio, Santa Maria a Stia e San Pietro a Romena. A queste si aggiunge la Pieve di Arcena, ricordata sin dal X secolo e probabilmente situata nei dintorni di Bibbiena, anche se la sua esatta ubicazione resta incerta.

Questi edifici religiosi sorgono spesso lungo percorsi antichi che hanno radici etrusche e romane, come conferma la presenza di antiche vie transappenniniche, come la Flaminia Minor che collegava Bologna e Arezzo, e di reperti archeologici nel sottosuolo. A Socana, i resti di un tempio etrusco e di un altare sacrificale documentano la sacralità del sito già nel V secolo a.C., mentre a Romena e a Buiano le cripte conservano tracce di strutture di epoca romana, tra cui una villa e un complesso termale.

Le pievi, come Socana e Romena, presentano impianti a tre navate, absidi semicircolari e campanili di forme particolari, come la base cilindrica di Socana o le colonne monolitiche di Romena. Esse sono state sottoposte a interventi di restauro nel corso dei secoli, spesso a seguito di eventi sismici, come nel 1599 e nel 1729, che hanno portato anche alla rilocalizzazione di alcuni elementi architettonici e alla riscoperta di strutture più antiche. La pieve di San Martino a Vado, riedificata tra l’XI e il XII secolo per volere di Matilde di Canossa, conserva le tracce dei diversi ampliamenti e modifiche subite nel corso del tempo, tra cui l’innalzamento del pavimento e la costruzione di nuovi altari e finestre.

Il Casentino conserva anche un sistema articolato di castelli e borghi fortificati che raccontano la storia del potere locale tra l’Alto e il Basso Medioevo. Il territorio, delimitato da rilievi montuosi e profondi corsi d’acqua che scavano profonde vallate e che affluiscono nel fiume Arno che scorre nell’ampio fondovalle, ha visto sorgere numerose fortificazioni, tra le quali Romena, Castel San Niccolò, Porciano, Poppi e Bibbiena. Lo sviluppo di questo sistema difensivo ha attraversato quattro fasi principali: da iniziali rocche isolate intorno all’anno Mille alla nascita di insediamenti fortificati a cavallo del 1100, per arrivare alla piena affermazione dei conti Guidi tra il XII e il XIII secolo e, infine, al consolidarsi di veri e propri borghi fortificati nel Duecento.

Le testimonianze di questo processo sono visibili in castelli come Poppi, eretto dai conti Guidi come fulcro del loro potere, o a Bibbiena, inizialmente roccaforte aretina e poi fiorentina. Queste strutture, originariamente concepite come presidi militari, nel tempo hanno accolto le popolazioni e dato vita a borghi all’interno delle mura, con sistemi di difesa stratificati tra cui torri, casseri e palazzi signorili. L’abitato di Raggiolo, per esempio, è storicamente collegato al castello omonimo e nel 1225 risulta già citato come insediamento fortificato; nel Trecento diventa “castrum Burgi della Collina”, espressione di una rete di insediamenti tra le valli del torrente Teggina.

Le vicende dei castelli sono strettamente legate ai cambiamenti politici che interessano il Casentino tra il Duecento e il Quattrocento. La crescente influenza di Arezzo e di Firenze ridisegna le gerarchie tra i centri abitati, culminando nel 1440 con la resa di Poppi a Firenze e l’istituzione del Vicariato fiorentino. Nel lungo periodo mediceo e lorenese le funzioni militari dei castelli declinano e le strutture si integrano sempre di più nel tessuto dei borghi, spesso sopravvivendo solo come elementi architettonici inglobati nelle nuove costruzioni.

Anche le vie di collegamento tra pievi, castelli e borghi hanno contribuito a rendere coeso il territorio del Casentino. Tra queste, si conservano ancora oggi numerosi antichi percorsi – spesso identificabili come mulattiere, sentieri di crinale o vie di mezzacosta – che collegavano centri come Stia, Porciano, Poppi, Raggiolo e la Verna, restando in uso fino al XIX secolo. Questi tracciati hanno assicurato per secoli la circolazione di persone, merci e idee, contribuendo a mantenere viva una rete di relazioni che ancora oggi segna l’identità storica e culturale della Valle.

Dialettica territoriale e urbana tra aree montane e fondovalle dell’Arno

Andrea Rossi

 

                                             

                                      Veduta della prima valle dell’Arno con i tre castelli di Porciano, Romena e Poppi ai piedi dei
                                     quali si sono sviluppati gli insediamenti di Stia, Pratovecchio e Ponte a Poppi. (Foto Quizze)

 

La dinamica tra le diverse componenti territoriali del Casentino – il fondovalle, la mezzacosta e la montagna – determina da sempre l’identità del paesaggio e la vita delle comunità. Fino al periodo preindustriale questi tre ambiti dialogavano come elementi di un sistema complesso e integrato.

La relazione tra fondovalle, mezzacosta e montagna ruotava attorno a una rete di borghi, pievi e castelli, lungo antiche vie di comunicazione.

L’insediamento di mezzacosta esercitava la funzione di regolatore tra le risorse montane e le esigenze del fondovalle e dei mercatali. I borghi di mezzacosta operavano da veri e propri ecotoni, zone di transizione tra le coltivazioni del fondovalle e le foreste montane, regolando le risorse e le attività economiche tra le diverse quote. In questo equilibrio, le comunità di mezzacosta catalizzavano le produzioni agricole e quelle forestali, praticando mestieri specializzati come l’intaglio e la lavorazione del legno con la produzione di diverse tipologie di manufatti quali pale, mestoli, bigoni, barili. Questa economia diffusa collegava le valli degli affluenti dell’Arno ai crinali, generava occupazione a livello locale integrata dalla pratica delle migrazioni stagionali. I terrazzamenti agricoli, costruiti con sapienza secolare, segnavano visivamente questo passaggio tra i livelli altimetrici e rappresentavano strumenti fisici di connessione tra la montagna e il fondovalle.

La montagna custodiva risorse fondamentali. Le comunità religiose e le istituzioni, come l’Arte della Lana di Firenze, regolavano i tagli forestali. Le Costituzioni camaldolesi e le Leggi di Cosimo I de’ Medici imponevano regole severe alla gestione dei boschi, dimostrando quanto la foresta fosse percepita come bene collettivo, strategico anche per le città. Tuttavia, anche in antico si sono registrati periodi di cattiva gestione e sfruttamento intensivo, come nel Settecento o a causa delle politiche lorenesi, che hanno provocato disboscamenti, frane e alluvioni. Un esempio emblematico rimane la piena del 1745 nell’Alta valle del Solano, generata dal taglio indiscriminato dei faggi. Questo tipo di eventi mostra quanto l’equilibrio tra le diverse quote altimetriche sia fragile e quanto la montagna necessiti di cure costanti.

Con il processo di spopolamento e la fine della mezzadria che hanno interessato il Casentino come tante altre aree interne italiane, le fasce collinari e montane hanno perso questo ruolo di mediazione. La riduzione del presidio umano ha causato l’abbandono di terrazzamenti e sentieri, spezzando anche le reti di saperi produttivi e le pratiche di gestione sostenibile della biodiversità.

L’urbanizzazione del Novecento ha concentrato le funzioni produttive e i servizi lungo le arterie di fondovalle, marginalizzando le aree montane e i borghi d’altura.

Oggi serve riscoprire il sistema di connessioni trasversali tra il fondovalle dell’Arno, le valli laterali e le terre alte, superando la sola logica longitudinale centrata sul traffico veloce e sull’espansione edilizia. La geografia del Casentino favorisce questo approccio: le valli minori, attraversate da antiche mulattiere e solcate dagli affluenti dell’Arno, disegnano una rete di percorsi e corridoi ecologici tra montagna e pianura. La trama di paesi, castelli e pievi esprime ancora il senso di un paesaggio culturale complesso, in cui le diverse quote dialogano tra di loro.

Conservare questo equilibrio significa tutelare i servizi ecosistemici come l’acqua e il bosco, ma anche rilanciare le economie legate alla filiera corta e al turismo sostenibile. Serve un nuovo patto tra i residenti del fondovalle e le comunità di mezzacosta, capaci di riprendere la funzione di “paesi ecotoni”, luoghi di transizione tra ecosistemi diversi e mediatori tra risorse e bisogni. Esperienze come le attività dell’Ecomuseo del Casentino e la Summer school “Nel Bosco dei Bigonai” dimostrano l’interesse per le produzioni tradizionali e per le reti di saperi da trasmettere alle nuove generazioni, per poterle attualizzare.

Questi progetti rilanciano anche il delicato tema della vivibilità in territori di montagna e collina, sostenendo i giovani agricoltori-custodi e le cooperative di comunità. Con politiche mirate a rigenerare economie locali, garantire servizi e incentivare la mobilità dolce, la montagna smette di essere percepita come periferia e diventa un laboratorio di futuro.

Ripensare le relazioni tra le quote altimetriche significa promuovere un nuovo equilibrio tra città e montagna, tra presente e memoria, tra produzione e tutela.

Così il Casentino può ritrovare la propria identità come bioregione coesa e resiliente, in cui le diverse anime del paesaggio tornano a dialogare tra loro, valorizzando le risorse disponibili e costruendo prospettive di vita condivise.

Ecosistemi e reti ecologiche

Leonardo Lombardi, Cristina Castelli, Michele Giunti

 

                                         

              Faggete di crinale, a sud-est del Passo della Calla, presso la Riserva Statale Scodella (Foto di Leonardo Lombardi).

 

 

Situato nell’alto bacino dell’Arno, il territorio del Casentino è caratterizzato da un paesaggio agroforestale di elevata qualità e naturalità. Vaste superfici boscate dominano gli alti versanti montani, sostituiti da un caratteristico paesaggio rurale tradizionale nei bassi versanti montani e nel crinale del Pratomagno. Nel fondovalle la prevalente matrice agricola, alternata alle aree a maggiore artificialità, è attraversata dall’alto corso dell’Arno con importanti ecosistemi fluviali. L’Arno è il recettore di un ricco sistema idrografico minore, con corsi d’acqua montani di elevata qualità ecologica e numerose specie ittiche autoctone, fortemente caratterizzante il territorio casentinese.

Nell’ambito del progetto REACT l’analisi dei prevalenti usi del suolo, degli ecosistemi naturali e seminaturali, delle attuali forme di gestione e delle previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale e tutela, ha portato ad una prima riflessione sulla qualità ecologica del territorio, sulle reali e potenziali criticità ambientali e sulle possibili azioni di gestione da attuare in futuro.

Circa l’80% del territorio casentinese è occupato da boschi e formazioni arbustive: querceti, castagneti da frutto, faggete montane e abetine caratterizzano questo mosaico forestale, in parte inserito nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna e nel Patrimonio agricolo-forestale regionale.

Il progetto di Rete Ecologica Provinciale, interno al Piano Paesaggistico Regionale e al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, identifica la presenza di numerosi “nodi forestali” soprattutto nelle aree pubbliche e tutelate. Questi ecosistemi presentano condizioni di maturità e qualità ecologica superiori alla media e offrono habitat idonei a numerose specie di interesse conservazionistico. Nei boschi privati, in particolare nei querceti cedui, la qualità ecologica complessiva risulta minore, quale conseguenza di una gestione selvicolturale maggiormente finalizzata all’aspetto produttivo. In entrambi i casi risulta importante applicare pratiche di gestione selvicolturale sostenibile per migliorarne la eterogeneità/diversità e la qualità ambientale e produttiva degli ecosistemi forestali. Ciò al fine di valorizzare i servizi ecosistemici del bosco e mantenere importanti economie e filiere forestali locali.

L’elevata presenza di boschi è un dato importante ma che testimonia anche dei negativi processi di abbandono delle attività agropastorali montane e dei conseguenti fenomeni di ricolonizzazione arbustiva e di costituzione di boschi di neoformazione con perdita di paesaggi rurali montani di elevato valore naturalistico.

Le superfici destinate a prati permanenti e pascoli si sono drasticamente ridotte nel dopoguerra, soprattutto nelle aree di media e alta montagna, così come il numero di aziende agricole e di capi allevati.

L’agricoltura intensiva si concentra nel fondovalle e nei bassi versanti, mentre le colture montane tradizionali e le praterie d’alta quota sono oggi ridotte a pochi frammenti immersi nelle matrici forestali.

Oggi le criticità principali sono quindi legate all’abbandono della montagna e agli opposti processi di artificializzazione delle aree di fondovalle, con consumo di suolo agricolo per l’espansione di aree industriali e residenziali.

Gli strumenti di pianificazione territoriale regionale e provinciale e delle Aree protette già individuano queste criticità e definiscono indirizzi per promuovere l’agricoltura montana, contenere i processi di consumo di suolo e migliorare la gestione selvicolturale, anche puntando sul riconoscimento degli importanti servizi ecosistemici prodotti dal territorio montano.

In questo senso il Casentino può offrire un contributo significativo alla conservazione della biodiversità e fornire elementi di riflessione utili nel contesto della lotta al cambiamento climatico. La Valle, grazie alla sua estesa rete di aree protette, al patrimonio forestale di alta qualità e alla presenza di ecosistemi ancora in buono stato di conservazione, ha tutte le potenzialità per mantenere nel tempo le sue funzioni ecologiche e per costruire un futuro di resilienza ambientale e di sviluppo sostenibile.

Cura e valorizzazione della risorsa bosco

Mario Biggeri, Leonardo Rosini, Sebastian Schweitzer

 

                                         

      Tratto della foresta casentinese, in cui il bosco ceduo si incontra con quello di conifere presso La Verna. (Archivio Autori)

 

 

Le foreste del Casentino custodiscono risorse fondamentali per il benessere materiale e immateriale di chi vive e lavora nel territorio. Il patrimonio naturale e culturale della Valle alimenta un sistema in cui economia forestale, identità locale e qualità della vita sono elementi strettamente legati tra loro.

Le conoscenze tramandate nei secoli sulla gestione del bosco, le pratiche selvicolturali e l’uso del legno rappresentano un capitale intangibile da riscoprire e aggiornare. Le comunità hanno bisogno di strumenti operativi per superare la frammentazione della proprietà e per facilitare forme di gestione collettiva in grado di aumentare le superfici produttive e la qualità ecologica dei boschi. Le associazioni fondiarie, le cooperative forestali e strumenti innovativi come ForestSharing offrono risposte concrete a questo bisogno, creando sinergie tra piccoli proprietari e operatori del settore. Le loro attività dimostrano che la cooperazione territoriale può contribuire a contenere i costi di gestione, migliorare le pratiche selvicolturali e promuovere l’innovazione lungo le filiere del legno e nella valorizzazione dei servizi ecosistemici.

Alla base di questo processo c’è la consapevolezza del valore ecologico e simbolico del bosco, percepito da sempre come un elemento vitale del paesaggio e come spazio di rigenerazione spirituale. Il Casentino offre al visitatore una rete di sentieri, monasteri, pievi e borghi antichi in cui il patrimonio forestale si fonde con quello culturale e religioso. Per questo è anche chiamato “Valle dell’anima. Il turismo lento, le passeggiate nei boschi e le esperienze immersive tra natura e storia rappresentano settori in crescita che richiedono, però, di essere guidati da strategie attente all’ambiente e alle esigenze delle comunità. Un approccio partecipato alla gestione turistica, basato su tavoli di coordinamento tra amministrazioni, operatori e residenti, può rendere il territorio più attrattivo senza snaturarne le caratteristiche, favorendo un uso responsabile delle risorse naturali e contenendo il sovraffollamento dei siti sensibili.

Le prospettive di sviluppo legate al bosco e ai servizi ecosistemici non si fermano al turismo. La filiera del legno ha potenzialità ancora poco esplorate nel campo della bioedilizia, la produzione di arredi artigianali e di biomasse a uso energetico, e può attrarre imprese sensibili alla sostenibilità ambientale e interessate a sperimentare modelli produttivi radicati nel territorio. Anche i giovani possono trovare opportunità di impiego in questo ambito, specializzandosi in mestieri legati alla cura del bosco, alla costruzione di reti commerciali, all’educazione ambientale o alla gestione di attività culturali collegate al paesaggio.

Un cambiamento di questo tipo richiede il consolidarsi di reti tra amministrazioni, università, centri di ricerca, aziende e società civile, capaci di dialogare per costruire strategie condivise. In particolare, l’organizzazione di tavoli di confronto tra Ente Parco, Unione di Comuni, Comuni, proprietari forestali e operatori economici può facilitare la definizione di piani integrati per la gestione del patrimonio forestale e culturale, promuovendo al contempo azioni di sensibilizzazione rivolte alle nuove generazioni. Parallelamente, attraverso rinnovate partnership con le scuole e i centri di formazione del territorio, è necessario favorire la formazione, l’aggiornamento delle competenze e l’inserimento lavorativo delle persone interessate al settore forestale.

Un simile approccio permetterebbe di riattivare il legame tra gli abitanti e il bosco, stimolando la nascita di nuove attività imprenditoriali orientate allo sviluppo sostenibile del territorio. In prospettiva, la collaborazione tra soggetti pubblici e privati, unita alla formazione di nuovi professionisti del settore, potrebbe favorire la creazione di una Comunità Forestale del Casentino, orientata sia alla realizzazione di una filiera corta del legno da opera sia allo sviluppo di nuovi percorsi ecoturistici all’interno delle foreste.

Le foreste del Casentino diventerebbero così il cuore di un sistema in cui si intrecciano valore produttivo, benessere collettivo e tutela del paesaggio, nel segno di una relazione equilibrata tra essere umano e natura. Questa visione contribuirebbe a rigenerare il territorio, dimostrando come patrimonio forestale, pratiche tradizionali e nuove sensibilità ecologiche possano costruire insieme un futuro di qualità, radicato nel contesto e aperto al cambiamento.

Il capitale umano e sociale del territorio

Giovanna Del Gobbo

 

                                         

                          Momento partecipativo svolto in Casentino nell’ambito della ricerca REACT. (Archivio REACT)

 

 

Il patrimonio culturale del Casentino e le competenze delle comunità locali rappresentano le basi per recuperare e valorizzare il paesaggio culturale e per costruire nuove prospettive di sviluppo.

Le politiche europee e internazionali riconoscono da tempo il valore del patrimonio immateriale come risorsa per la coesione sociale, l’innovazione e la qualità della vita. Nel Casentino le conoscenze pratiche legate al patrimonio forestale, all’artigianato, alla cura del territorio e alle tradizioni hanno generato nel tempo una fitta rete di relazioni tra persone, istituzioni e associazioni. Queste reti alimentano il capitale sociale locale e offrono strumenti concreti per affrontare le sfide di oggi e di domani.

La forza del capitale umano e sociale sta nella capacità di generare conoscenza condivisa e di attivare processi collaborativi tra attori diversi. La cooperazione tra cittadini, enti pubblici, scuole, imprese e soggetti del Terzo Settore consente di superare frammentazioni, di individuare le priorità del territorio e di costruire soluzioni collettive capaci di migliorare la qualità della vita e di rilanciare l’economia nei centri abitati. Affinché la comunità possa assumere un ruolo attivo nella definizione di scelte strategiche e nella costruzione di progetti che rispondano ai bisogni reali, occorrono coerenti processi di governance collaborativa, come metodo di lavoro continuo.

La comunità del Casentino, nelle sue diverse forme organizzative, esprime una pluralità di iniziative, anche informali potenzialmente in grado di dare vita a progetti culturali, educativi e turistici capaci di rivitalizzare il territorio. Le molte associazioni, le cooperative di comunità, i gruppi informali e le reti tra Enti sono strumenti che facilitano la circolazione di informazioni e saperi, aiutano a riconoscere le risorse esistenti e a mobilitare energie nuove. La collaborazione tra generazioni consente un passaggio e una continuità di conoscenze che può consentire di attualizzare mestieri antichi e di aprire prospettive inedite per l’uso sostenibile del patrimonio paesaggistico, urbano e architettonico.

Il progetto REACT ha mostrato come le pratiche di coinvolgimento attivo possano sostenere la costruzione di strategie comuni tra attori diversi. L’esperienza del Patto Educativo Territoriale e la nascita di Comunità di eredità hanno contribuito a rendere visibile un patrimonio educativo diffuso che contribuisce a rafforzare un senso di appartenenza radicato nella storia e nelle esperienze di chi vive nel territorio. Questo approccio ha permesso di attivare le risorse sociali e culturali della Valle, di dare voce a realtà spesso trascurate e di generare proposte concrete per la gestione dei boschi, la valorizzazione del paesaggio e la creazione di nuovi servizi.

La sfida è consolidare questo tessuto collaborativo, rafforzando le competenze dei diversi soggetti e favorendo forme di governance inclusive. La creazione di tavoli di coordinamento tra amministrazioni, imprese, associazioni e centri di formazione consente di definire insieme priorità e progetti di interesse collettivo, di costruire filiere corte tra produttori forestali e artigiani e di dare vita a esperienze di turismo lento capaci di integrare natura, storia e spiritualità. Il riconoscimento ufficiale delle Comunità di eredità valorizza le iniziative nate dal basso e ne aumenta le potenzialità educative e generative, rendendo gli abitanti partecipi di un percorso di cura e rigenerazione del paesaggio.

L’esperienza di ricerca maturata nel Casentino dimostra come le comunità, se riconosciute nel loro ruolo attivo e dotate di strumenti adeguati, riescano a immaginare e realizzare progetti di rigenerazione culturale, ambientale ed economica. La rete tra le diverse componenti della società locale diventa motore di cambiamento, rafforzando la resilienza del territorio e la sua capacità di rispondere ai cambiamenti globali. Questa visione di sviluppo collaborativo e di cura del patrimonio culturale e naturale offre un modello replicabile anche in altre aree interne, basato sulla fiducia nelle capacità dei diversi attori del territorio di costruire insieme il proprio futuro.

La continuità tra pratiche tradizionali e forme innovative di economia rurale offre prospettive di futuro alle giovani generazioni, rendendo le aree interne laboratori di sostenibilità. Investire sul capitale umano e sociale del territorio significa anche creare occasioni di apprendimento continuo, sostenere progetti di aggiornamento tecnico e gestionale e favorire lo scambio tra pratiche. Questa prospettiva aiuta a superare le disuguaglianze di accesso alle opportunità e a garantire a tutti la possibilità di contribuire al benessere collettivo.

Spopolamento, mobilità e partecipazione giovanile

Francesco De Maria

 

                                     

               Momento del Seminario Tematico interdisciplinare organizzato nell’ambito della ricerca REACT. (Archivio REACT)

 

 

Riflettere criticamente sul fenomeno dello spopolamento e affrontare le dinamiche della mobilità, in particolare giovanile, sono aspetti fondamentali per ipotizzare prospettive concrete di sviluppo territoriale. La Valle custodisce un patrimonio culturale e naturale straordinario, ma le giovani generazioni cercano opportunità di crescita personale e professionale altrove. La migrazione dei ragazzi indebolisce le comunità, impoverisce i paesi e compromette la possibilità di mantenere vivi i servizi essenziali. È urgente agire per invertire questo processo e restituire centralità al territorio come spazio di vita, di lavoro e di espressione creativa.

La popolazione del Casentino vive da decenni le conseguenze di cambiamenti demografici profondi, con una marcata tendenza all’abbandono. I numeri parlano chiaro: la popolazione diminuisce, l’età media aumenta e le famiglie giovani sono sempre meno numerose. Questi processi producono effetti a catena, come la riduzione della vitalità sociale, la perdita di attività economiche e la scomparsa di scuole, botteghe e presidi sanitari. La mancanza di prospettive spinge i giovani a cercare altrove opportunità di formazione, lavoro e realizzazione personale, generando una spirale difficile da spezzare.

La mobilità umana e sociale è parte del processo di crescita di ogni giovane, ma in aree come il Casentino assume connotazioni specifiche. Uscire dal territorio non è solo una scelta di vita, ma anche una strategia di sopravvivenza per accedere a condizioni migliori. Andare via diventa un passaggio verso l’autonomia e l’acquisizione di nuove competenze, necessarie a costruire il proprio futuro. Allo stesso tempo, questo movimento rappresenta una perdita per le comunità di origine, che vedono le energie giovani e creative trasferirsi verso i centri urbani. È un fenomeno complesso, nel quale la libertà di partire si intreccia con il desiderio di tornare, di mettere a frutto le esperienze maturate e di contribuire al rilancio del proprio territorio.

Per questo serve un approccio che metta al centro le aspirazioni dei ragazzi e delle ragazze, creando le condizioni per il ritorno o la permanenza. Le associazioni giovanili, le cooperative di comunità e le reti di imprese locali possono giocare un ruolo importante nel dare voce ai giovani e nel coinvolgerli nei processi decisionali. La partecipazione attiva alla vita del territorio rafforza il senso di appartenenza e offre la possibilità di immaginare un futuro condiviso. È essenziale costruire spazi di aggregazione, laboratori di cittadinanza e percorsi di orientamento formativo e lavorativo che aiutino le nuove generazioni a riscoprire le risorse locali e a utilizzarle in modo innovativo.

La capacità di attrarre e trattenere giovani passa anche da politiche di sostegno all’imprenditorialità e alla formazione. Promuovere le filiere produttive legate al paesaggio e alle tradizioni, creare opportunità nei settori del turismo sostenibile, dell’artigianato e dei servizi alla persona significa valorizzare il patrimonio culturale e ambientale come motore di sviluppo. Le reti tra scuole, amministrazioni, università e imprese sono strumenti preziosi per aggiornare le competenze, aprire prospettive lavorative e favorire la nascita di nuove imprese nei settori strategici per l’economia del Casentino.

Il progetto REACT ha fatto emergere la varietà di forme associative e le potenzialità di una comunità che ha ancora molto da offrire. Le esperienze di cittadinanza attiva, come il Patto Educativo Territoriale o le Comunità di eredità, mostrano come i giovani possano divenire protagonisti del cambiamento, se sostenuti da processi partecipativi ben strutturati. È necessario dare continuità a queste pratiche, facilitando il dialogo tra diversi attori e sostenendo le idee nate dal basso, in modo da generare risultati duraturi anche nelle frazioni più isolate.

Il Casentino può riscoprirsi come luogo in cui i ragazzi e le ragazze scelgono di restare o di tornare, non solo per le bellezze del paesaggio, ma anche per le opportunità di lavoro, di espressione e di crescita collettiva. La sfida è costruire insieme politiche di lungo periodo che valorizzino le risorse del territorio e le capacità dei giovani, per mitigare le tendenze di spopolamento e restituire al Casentino prospettive di vitalità, resilienza e orgoglio.

Associazionismo e pratiche sociali 

Pietro Causarano

 

                                           

                                                           Stia. Museo del Bosco e della Montagna. (Foto di Andrea Rossi)

 

 

In Casentino l’associazionismo nasce da una storia di cooperazione sociale radicata tra le persone e nel territorio. La Valle, pur vivendo periodi di isolamento e spopolamento, mantiene reti di relazioni vive e profonde tra le famiglie, le istituzioni religiose, l’associazionismo e le comunità di paese. La geografia montana e le antiche strade di collegamento tra piccoli borghi alimentano pratiche di aiuto reciproco e forme di socialità capaci di dare risposte concrete alle necessità di ogni epoca. Questa tradizione di mutualismo si esprime da secoli, a cominciare dalle Confraternite della Misericordia, attraverso le numerose associazioni laiche o religiose che hanno contribuito alla coesione tra le generazioni, al sostegno dei più deboli e alla cura del patrimonio culturale locale.

Nel Casentino non ci sono i grandi latifondi della mezzadria, ma una rete di piccole e medie proprietà e di comunità rurali. La specificità del territorio ha favorito lo sviluppo di associazioni di mestiere (come quelle legate al tessile o alla lavorazione del legno) e di gruppi di cittadini pronti a sostenere progetti di interesse comune. Questa storia di aggregazione ha aiutato la popolazione a superare le distanze fisiche e simboliche e a costruire un’identità che, pur all’interno delle specificità locali, ancora oggi fa sentire le persone parte di una rete di relazioni vive. L’isolamento geografico ha rafforzato le reti tra i paesi montani e le frazioni.

Nel secondo dopoguerra le cose sono profondamente cambiate: le giovani generazioni hanno lasciato la Valle per cercare lavoro in pianura o in città indebolendo la struttura demografica e sociale del territorio. Questo spopolamento ha colpito soprattutto i borghi di montagna, mentre i centri del fondovalle hanno visto una parziale ripresa industriale e terziaria. In questo contesto le associazioni hanno assunto un ruolo essenziale di connettivo per mantenere la vitalità sociale e proporre nuove forme di partecipazione.

La Chiesa ha contribuito a mantenere una presenza stabile in aree isolate, sostenendo le confraternite e le iniziative di vicinato, così come le feste patronali, le sagre di paese o i gruppi di preghiera.

Le amministrazioni locali hanno dovuto confrontarsi con le difficoltà di accesso ai servizi e con le richieste di una popolazione sempre più anziana. La costruzione di reti tra Comuni, dei distretti scolastici e dei consorzi tra enti, l’esperienza della Comunità Montana seguita dall’Unione dei Comuni Montani, hanno offerto strumenti nuovi per coordinare le politiche e rispondere ai bisogni di chi vive nelle aree più marginali, permettendo un rinnovato rapporto col tessuto associativo. L’Ecomuseo del Casentino ha sostenuto la riscoperta di pratiche tradizionali e di attività produttive collegate alla montagna, favorendo la nascita di nuovi progetti di valorizzazione del patrimonio e di turismo lento e consapevole.

Le associazioni del territorio danno vita a un vivace panorama di iniziative culturali, sportive e sociali. I circoli sportivi e ricreativi – presenti anche nelle frazioni più isolate – promuovono attività per tutte le fasce d’età e alimentano il senso di appartenenza alla comunità. Le Pro Loco organizzano feste e celebrazioni che attirano anche forestieri, valorizzando i prodotti tipici come la polenta dolce o il tortello alla lastra. Le associazioni culturali rilanciano la memoria locale con mostre, convegni e laboratori didattici, coinvolgendo le scuole e le famiglie e i visitatori in progetti di riscoperta della storia e del paesaggio.

La rete associativa casentinese favorisce l’integrazione tra generazioni e settori diversi e consente di affrontare i problemi del territorio in modo collettivo. Lo sport, le confraternite, le bande musicali, le Pro Loco, le associazioni di protezione civile e quelle ambientaliste rappresentano spazi di confronto, di divertimento e di solidarietà che danno linfa al senso di comunità. La Biblioteca di Poppi, il Museo dell’Arte della Lana di Stia o il Museo Archeologico del Casentino “Piero Albertoni” di Bibbiena testimoniano la vitalità del territorio e offrono spazi di incontro e di educazione anche per i più giovani.

L’esperienza del Casentino mostra come le associazioni siano capaci di mantenere vivo il legame tra le persone e tra le generazioni, anche nelle aree interne. Questa rete diffusa crea occasioni di scambio, rafforza l’identità culturale e rilancia le potenzialità del territorio, trasformando le sfide dello spopolamento in opportunità di rinascita condivisa.

I prodotti agro-alimentari di origine e il paesaggio rurale

Giovanni Belletti, Andrea Marescotti, Matteo Mengoni

 

                                           

                                                                            Pecorino del Casentino (Archivio Autori)

 

 

Il paesaggio rurale del Casentino mantiene una fisionomia complessa e stratificata, composta da terreni coltivati, boschi, pascoli e castagneti. Questa varietà è frutto del lavoro agricolo di generazioni e di trasformazioni volte a ricercare un equilibrio continuo tra attività umane e dinamiche naturali. Rispetto alle aree del fondovalle dell’Arno, l’ambiente di alta collina e montano ha storicamente posto dei limiti alla meccanizzazione e all’agricoltura intensiva, favorendo invece il pascolo e la gestione forestale. L’abbandono delle aree montane e l’espansione della vegetazione arbustiva testimoniano un cambiamento profondo nel rapporto tra le comunità e le risorse disponibili. Nelle aree di fondovalle aumenta la pressione edilizia e si perdono superfici agricole a favore di nuovi usi del suolo.

La crisi demografica ha colpito in profondità questo territorio. Nel 1982 le aziende agricole superavano le 2.200 unità, mentre nel 2020 se ne contano appena 700. Anche le superfici coltivate diminuiscono e le aziende rimaste sono spesso gestite da imprenditori vicini all’età della pensione, con pochi giovani pronti a subentrare. Nel Casentino solo il 13% delle aziende agricole ha un titolare con meno di quarant’anni. La percezione di un’attività agricola poco redditizia, impegnativa e povera di riconoscimenti sociali spinge le nuove generazioni a cercare altrove le opportunità di lavoro e di valorizzazione personale, generando un circolo vizioso tra spopolamento, abbandono e impoverimento del territorio.

È dunque necessaria una strategia che rompa queste dinamiche, che non più basarsi sull’adozione di modelli agricoli standardizzati, pensati per le pianure industrializzate, ma su un nuovo approccio multifunzionale e radicato nel territorio.

La marginalità del Casentino ha preservato un paesaggio di qualità e una varietà di specie e varietà locali, spesso legate a saperi tradizionali. Questa eredità diventa risorsa per costruire strategie alternative, capaci di innovare nel solco di ciò che già esiste: il recupero di varietà autoctone, le produzioni di nicchia, le forme di agricoltura biologica e le reti di cooperazione tra aziende.

I prodotti di origine – come la Patata rossa di Cetica, il Pecorino e le castagne del Pratomagno o il Tortello alla lastra di Corezzo – sono elementi vitali di questo sistema, espressioni concrete di un patrimonio fatto di risorse naturali e conoscenze tramandate, ma anche di architetture rurali, riti e feste tradizionali. Valorizzarli significa non solo commercializzarli meglio, ma anche intrecciarli a percorsi educativi e turistici, a eventi culturali e a esperienze immersive. Intorno a questi prodotti si può attivare un circuito virtuoso, capace di generare occupazione, diffondere consapevolezza e contrastare l’abbandono territoriale.

Le aziende del Casentino hanno bisogno di nuovi strumenti, che consentano di ripensare i processi produttivi, adottare schemi collettivi di segnalazione e garanzia della qualità, sperimentare la vendita diretta e costruire filiere corte capaci di accorciare le distanze tra produttore e consumatore. Al contempo, è importante diversificare le attività, aprirsi all’agriturismo, all’educazione ambientale, alla manutenzione del paesaggio, integrando l’agricoltura in una rete di servizi e relazioni. La capacità di collaborare tra aziende e con le istituzioni è la chiave per superare le debolezze strutturali, come la frammentazione, le dimensioni aziendali ridotte, l’invecchiamento dei produttori.

Il progetto REACT ha fatto emergere la necessità di costruire forme di governance partecipata, capaci di coordinare le politiche di sviluppo rurale. Distretti agroalimentari, Comunità del cibo e dell’agrobiodiversità, food hub e percorsi culturali possono facilitare la promozione dei prodotti e la loro distribuzione nei mercati vicini, rendendo l’offerta più visibile e riconoscibile. Parallelamente, occorre investire nella qualità, nella tracciabilità e nella riconoscibilità dei marchi di origine, al fine di rafforzare la fiducia dei consumatori.

Alla base di questo processo c’è la formazione di nuove professionalità – dinamizzatori territoriali – capaci di promuovere le dinamiche di rete tra agricoltori, amministrazioni e comunità. A queste figure potrebbe essere affidato il compito di sostenere le aziende nell’orientare le proprie strategie, intercettare fondi, coordinare iniziative e costruire progetti di rilancio economico e sociale.

Il Casentino ha le risorse per farlo: le sue varietà agricole, le sue tradizioni, le sue foreste e i suoi paesaggi. Con politiche condivise, supporto istituzionale e un protagonismo consapevole dei produttori, questo territorio può invertire le tendenze demografiche e rilanciare le proprie prospettive di sviluppo.

 

 

 

Ultimo aggiornamento

20.07.2025

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