L’individuazione delle componenti chiave del paesaggio culturale di ciascuna area interna, su cui far leva per l’attivazione di processi di sviluppo territoriale, costituisce un’operazione interpretativa tanto fondamentale quanto delicata. Essa, infatti, implica un processo di selezione non esaustivo, condizionato da fattori socio-territoriali e dalle prospettive adottate dalla popolazione locale, così come da quelle dei ricercatori coinvolti nelle attività di animazione e supporto del processo di rigenerazione.
Ogni area interna presenta caratteristiche uniche e vocazioni specifiche che derivano da fattori geografici, storici, culturali e sociali. Tuttavia, nella percezione della popolazione locale, o di specifici gruppi al suo interno, l’importanza di tali caratteristiche e vocazioni non viene valutata in modo univoco, ma è soggetta a interpretazioni differenti, talvolta anche contrastanti: «Occorre porsi in una condizione di ascolto e cercare di capire in quale punto del piano inclinato della sua storia un paese in via di spopolamento si trovi. Cosa resta della struttura sociale della comunità e dell’identità locale? (È frammentata o coesa? Come viene espressa? Come viene percepita?) Qual è la dialettica tra le relazioni di gruppo e quelle verso l’esterno? Qual è il rapporto tra gli abitanti e il loro passato? Quali sono le loro speranze verso il futuro?» (Lauria, 2025: 30). Questa prospettiva sottolinea l’importanza di un’approfondita comprensione delle specificità territoriali, anche in comparazione con altri contesti, da realizzare con la piena partecipazione e consapevolezza della popolazione locale, condizione essenziale per avviare processi di rigenerazione efficaci e duraturi.
Parallelamente, la visione del ricercatore, che molto spesso supporta e anima i processi di rigenerazione del paesaggio culturale, non può prescindere dalle sue caratteristiche personali e dal suo posizionamento epistemologico. «Il sapere risultante dalle ricerche collaborative è un artefatto che prima di essere proposto ad altri contesti, ad altri soggetti al fine di comprenderne la portata innovativa e l’efficacia, richiede la considerazione delle problematiche che originano dalla cultura di chi ha prodotto l’artefatto stesso e dal contesto di sperimentazione» (Del Gobbo et al., 2025: 160). Questa consapevolezza impone al ricercatore una costante riflessione critica sul proprio ruolo e sulla propria influenza nella definizione e interpretazione dei problemi e delle soluzioni proposte.
Il riconoscimento delle componenti chiave del paesaggio culturale su cui far leva deve avvenire, dunque, in modo situato, attraverso un’interazione continua tra analisi scientifica e partecipazione attiva delle comunità. Tale interazione deve essere frutto di una riflessione che tenga conto della letteratura di riferimento, delle iniziative e delle sperimentazioni in corso nel territorio oggetto di analisi/intervento, prestando particolare attenzione agli aspetti di sostenibilità ambientale, sociale, economica, culturale e istituzionale. È necessario anche considerare le differenti sensibilità, attese e interessi presenti all’interno della comunità, da parte delle varie categorie di stakeholder; sensibilità, attese e interessi che possono esprimere punti di vista molto diversi e talvolta anche conflittuali, rispetto ai quali si possono ricercare percorsi di mediazione non sempre però possibili.
Sulla base della letteratura e dell’osservazione empirica sono individuabili quattro principali componenti del paesaggio culturale su cui poter far leva per attivare processi di rigenerazione nelle aree interne: (1) Patrimonio agroalimentare e forestale e Artigianato locale, (2) Tradizioni e pratiche sociali, (3) Reti paesaggistiche e territoriali, e infine (4) Insediamenti, spazi pubblici ed edifici.
All’interno di ciascuna di queste componenti è ovviamente possibile, e necessaria, l’identificazione di sotto-componenti che emergono come strategiche in funzione delle caratteristiche del territorio, per riflettere la natura plurale, sistemica e multilivello del paesaggio culturale. Questa impostazione riflette coerentemente l’approccio people-centered e la metodologia bottom-up che caratterizzano l’approccio di questa Guida Strategica e della ricerca REACT, entrambe orientate a costruire, con le comunità locali, dispositivi collettivi di interpretazione, cura e rigenerazione del paesaggio culturale di un territorio.
Non è ovviamente possibile fornire una visione univoca né esaustiva di tali componenti, ma si può restituire un sistema interpretativo utile a selezionare, in funzione delle caratteristiche del contesto, le componenti più significative del paesaggio culturale, in grado di rappresentare delle leve per la rigenerazione territoriale.
Nei paragrafi seguenti, per ciascuna delle quattro componenti indicate verrà data una breve descrizione e verranno brevemente discusse tensioni e opportunità in funzione dei processi di rigenerazione.
Il paesaggio culturale delle aree interne è di norma caratterizzato da una ricca e complessa combinazione di terreni agricoli – spesso frammentati – e aree forestali e boschive, che costituiscono, spesso, ecosistemi di elevato valore ecologico, ricchi di biodiversità e strettamente legati a saperi, tecniche e tradizioni che fanno parte del patrimonio immateriale delle comunità. La presenza di aree agricole, boschive e forestali è il frutto di una lunga storia di interazioni tra comunità locali e territorio; per secoli, infatti, esse hanno costituito un elemento vitale per la sopravvivenza economica e culturale delle popolazioni, plasmandone usi e tradizioni.
Negli ultimi decenni gli ecosistemi agrari sono stati minacciati da processi di abbandono, evidenziati dal crollo verticale, registrato dagli ultimi Censimenti ISTAT dell’agricoltura, del numero delle aziende agricole e della superficie agricola utilizzata. Altro aspetto critico è l’aumento dell’età media degli agricoltori dovuto ad una pluralità di fattori. Tra questi possono menzionarsi: il mancato ricambio e l’incapacità delle aziende agricole di remunerare in maniera adeguata i fattori produttivi impiegati – soprattutto nei territori montani e alto collinari o comunque ‘distanti’ da bacini di consumo e vie di comunicazione –, le difficoltà di accesso alla terra e al credito e le difficili condizioni lavorative in agricoltura. L’abbandono delle attività agricole genera, da un lato, la rinaturalizzazione arbustiva delle aree più difficili, soprattutto montane e con elevate pendenze e/o scarsa fertilità del terreno, dall’altro, il cambiamento di destinazione d’uso del suolo nelle aree pianeggianti e più accessibili, in favore di utilizzi più redditizi di tipo residenziale o artigianale/ industriale o di servizi.
Questi fenomeni mettono a rischio la presenza di prodotti agroalimentari tipici, i quali traggono la loro peculiarità dal forte collegamento con risorse specifiche territoriali, sia materiali che immateriali, antropiche e naturali. Essi presentano, inoltre, forti legami con le risorse bioculturali specifiche del territorio e con molte altre componenti del patrimonio materiale (sistemazioni fondiarie, paesaggi agrari, risorse genetiche dell’agrobiodiversità, ecc.) e del patrimonio immateriale (tradizioni, saperi contestuali, gastronomia, ecc.). Per questo, essi sono spesso considerati il fulcro su cui far leva per attivare processi di rigenerazione territoriale di portata più ampia rispetto al sistema produttivo del singolo prodotto. Si ritiene, infatti, che la loro valorizzazione possa innescare un ‘circolo virtuoso’ capace di (ri)attivare dinamiche collettive e di remunerare e riprodurre le risorse specifiche del territorio di provenienza, sia umane che materiali (Belletti & Marescotti, 2011) (vedi § 2.6).
D’altro canto, negli ultimi decenni i boschi e le foreste delle aree interne hanno conosciuto un’espansione significativa, legata al simultaneo abbandono delle pratiche agricole e pastorali. Questo fenomeno, pur generando un aumento delle superfici forestali e delle capacità di assorbimento del carbonio, ha comportato anche conseguenze problematiche, come la riduzione della diversità paesaggistica e di habitat, a causa dell’avanzata della vegetazione in aree un tempo coltivate o pascolive. Inoltre, la frammentazione fondiaria e l’assenza di una pianificazione condivisa a livello territoriale, unitamente alla perdita di saperi tradizionali legati alla gestione sostenibile del bosco, rendono difficile valorizzare in modo unitario questa risorsa.
Anche le foreste e i boschi delle aree interne offrono molteplici opportunità, rappresentando una risorsa strategica per la transizione ecologica e la bioeconomia, in quanto forniscono legno e biomassa rinnovabile, ma anche una pluralità di servizi ecosistemici, ad esempio contribuendo alla regolazione climatica e idrogeologica e ospitando ecosistemi ricchi di biodiversità. I prodotti dell’agricoltura e delle foreste, inoltre, sono spesso alla base dell’artigianato locale, da quello alimentare legato alla trasformazione dei prodotti, a quello del legno.
Oltre agli aspetti produttivi e ambientali, boschi e foreste custodiscono un immenso patrimonio culturale e immateriale: sono spesso luoghi di memoria e spiritualità, di pratiche religiose e rituali comunitari. Possono, inoltre, favorire esperienze legate al benessere psico-fisico, come la forest therapy e il turismo esperienziale, e rappresentano contesti privilegiati per attività di educazione ambientale e sensibilizzazione ecologica.
Constatata l’inefficacia, per molte aree interne specialmente se collinari e montane, di un modello basato su intensificazione, meccanizzazione e standardizzazione delle tecniche e dei prodotti, una possibile via di uscita dal circolo vizioso che collega tra loro perdita di competitività, sottoremunerazione e perdita di risorse umane e fisiche, è rappresentata dalla transizione dell’impresa agricola e forestale monofunzionale verso un nuovo modello di azienda diversificata, multifunzionale e integrata al territorio. Ciò richiede che le imprese agricole percorrano sentieri innovativi basati su un aumento del livello di differenziazione e della qualità delle produzioni realizzate (approfondimento), su una estensione dell’attività agricola e forestale verso nuove attività di produzione di beni e servizi inclusa l’ospitalità e i servizi ecosistemici (allargamento), e su un recupero dei canali più diretti di scambio con il consumatore finale e delle relazioni con il territorio in cui opera e gli attori in esso presenti (riposizionamento) (Van der Ploeg & Roep, 2003). La transizione verso un modello socio-tecnico orientato alla differenziazione basata sull’origine e alla diversificazione delle attività agricole e forestali richiede di implementare un processo di innovazione che non riguarda solo la singola impresa, ma il sistema locale nel suo complesso, incluse le istituzioni in esso operanti, e si fonda sulla capacità di gestire efficacemente le connessioni sia tra le attività e i settori all’interno del territorio (agricoltura, artigianato, ricettività, ristorazione, ecc.) che con il sistema esterno al territorio.
In un’ottica strategica, l’integrazione tra agricoltura, gestione forestale, turismo, artigianato e servizi culturali può dare vita a sistemi multifunzionali capaci di coniugare produzione, tutela ambientale e rigenerazione sociale. Una sfida complessa che richiede lo sviluppo di strategie ugualmente complesse e articolate, capaci di ricercare soluzioni che ogni territorio deve individuare in base alle proprie risorse e capacità, sapendo rielaborare e innovare la complessa rete di relazioni tra agricoltura, foreste e paesaggio rurale.
|
Belletti, G., Marescotti, A. & M. Mengoni. 2025. I prodotti agro-alimentari di origine e il paesaggio rurale del Casentino. Ricerca REACT, Università di Firenze. <https://doi.org/10.5281/zenodo.16601244> Biggeri, M., Rosini, L. & S. Schweizer. 2025. La cura della foresta e dei servizi eco-sistemici in Casentino: riflessioni su come riconciliare il benessere materiale e immateriale. Ricerca REACT, Università di Firenze. <https://doi.org/10.5281/zenodo.16649867> |
Le tradizioni e le pratiche sociali sono un’espressione peculiare di due dimensioni rilevanti e al contempo tra le più fragili del paesaggio culturale delle aree interne: il capitale umano e il capitale culturale.
Se consideriamo il capitale culturale espressione del patrimonio culturale tangibile e intangibile che un territorio possiede, è evidente lo stretto legame con le comunità. Il capitale culturale comprende non solo edifici storici, monumenti, opere d’arte, siti archeologici e manufatti che testimoniano la storia e la cultura di una comunità, ma anche le pratiche culturali, le tradizioni e le forme di espressione collettiva che hanno strutturato e strutturano la vita delle comunità locali stesse e alimentano le competenze, i saperi e le conoscenze espresse dagli abitanti. Il capitale umano e il capitale culturale costituiscono elementi fondativi dell’identità del territorio e fattori cruciali per attivare percorsi di rigenerazione durevoli e sostenibili. Il concetto di capitale umano rappresenta storicamente lo ‘stock’ di conoscenze e competenze di cui dispone una comunità (Becker, 1964; Denison, 1966): al capitale umano è associata la capacità di una comunità di produrre, accumulare, scambiare conoscenza al fine di generare innovazione e alimentare la capacità di un sistema per individuare risposte e soluzioni (Bramanti & Odifreddi, 2006; Del Gobbo 2012).
In termini di opportunità, i processi di valorizzazione del capitale umano e culturale possono rappresentare il collante per il consolidamento di reti collaborative, favorire la trasmissione intergenerazionale dei saperi, diventare fattori facilitanti l’innovazione sociale basata sulle risorse locali. Il concetto di paesaggio culturale consente di sottolineare come la capacità di un territorio di generare sviluppo dipenda in misura significativa anche dalla possibilità di riconoscere e rafforzare i saperi diffusi. La connessione tra capitale umano, patrimonio culturale e patrimonio naturale è alla base di progettualità capaci di generare valore economico con attenzione alla coesione sociale.
Considerata la rilevanza riconosciuta al capitale umano e culturale, si comprende che senza l’adeguata considerazione della dimensione comunitaria, nessun processo di rigenerazione diventa sostenibile. La ricerca REACT ha inteso indagare, in tal senso, anche il capitale sociale che un’area interna, nello specifico il Casentino, può esprimere attraverso una pluralità di forme organizzative. Il capitale sociale è l’insieme delle relazioni sociali, reti di fiducia, norme condivise e istituzioni che favoriscono la collaborazione e cooperazione tra individui e i gruppi per valorizzare e sviluppare l’insieme di conoscenze e competenze di cui un territorio dispone. Esso richiede di essere attivato e promosso attraverso forme di coinvolgimento partecipativo della comunità nei processi decisionali correlati o correlabili a iniziative di rigenerazione del paesaggio culturale (Del Gobbo, 2015).
Tuttavia, porre al centro le comunità delle aree interne, non è esente da fattori di rischio, capaci di generare tensioni anche rilevanti. In primo luogo, si riscontra spesso una progressiva perdita di competenze locali legata allo spopolamento e all’invecchiamento della popolazione che rende difficile l’ancoraggio a pratiche consolidate e identitarie, creando uno scollamento e una discontinuità, sia generazionale sia collegata a cambiamenti demografici e a dinamiche migratorie. Inoltre, il sapere locale risulta spesso frammentario, in particolare se non sono presenti infrastrutture culturali, come ecomusei, musei o comunque servizi culturali, capaci di dare espressione, visibilità e accesso al patrimonio di conoscenze che una comunità ha prodotto nel tempo e di alimentare innovazione e cambiamento. La condizione di marginalizzazione si può tradurre in una sottovalutazione delle risorse umane presenti, anche nelle diverse forme di organizzazione comunitaria, ostacolandone l’integrazione nei processi decisionali e nelle politiche di sviluppo territoriali. Allo stesso tempo, possono presentarsi vari rischi determinati da processi di patrimonializzazione poco sostenibili, gestiti secondo logiche prevalentemente top-down, se non esogeni.
La quantità e la qualità del capitale sociale di una comunità può avere un grande impatto sulla capacità della comunità stessa di gestire il cambiamento, ma tale capitale può essere valorizzato pienamente solo se diventa possibile creare un contesto favorevole che incoraggi il decentramento decisionale e la partecipazione attiva delle comunità locali, la costruzione condivisa di senso, in coerenza con gli approcci people-centered e di governance collaborativa. L’assunzione di responsabilità da parte delle comunità locali attraverso una maggiore partecipazione e coinvolgimento, implica una gestione più flessibile dei processi di rigenerazione e si configura come leva generativa di innovazione e responsabilizzazione degli attori coinvolti, al fine di garantire maggiore trasparenza e partecipazione democratica ai processi di sviluppo.
Nello stesso tempo, diventa fondamentale investire sullo sviluppo delle competenze, ampliando le possibilità di rafforzamento del capitale umano attraverso strategie mirate di ampliamento delle opportunità di educazione e formazione.
Per identificare e massimizzare le opportunità educative, è necessario riconoscere anche tutti quei processi di apprendimento informale che agiscono sulla produzione e sul consumo quotidiano di formazione. Negli ecosistemi, le persone e i loro ambienti di vita rappresentano un sistema unitario che vive, consuma, produce e rielabora risorse, comprese le conoscenze. Il sistema crea e organizza specifici contesti culturali storicamente definiti. Le interazioni dinamiche consentono al sistema e ai sotto-sistemi di operare come unità funzionali, capaci di auto-organizzarsi e adattarsi (Schleicher-Tappesar & Strati, 1999; Clark, Crutzen & Schellnhuber, 2005).
All’educazione viene, dunque, riconosciuto uno specifico valore, per il contributo che offre allo sviluppo di capacità di scelta e di azione all’interno dell’ecosistema, per il benessere individuale e collettivo. Essa è, al contempo, un servizio culturale ecosistemico, se considerata quale espressione di una produzione culturale storicamente caratterizzata, e una funzione regolatrice del rapporto con gli altri servizi ecosistemici. Il fine ultimo dell’educazione è mettere il soggetto in grado agire consapevolmente e responsabilmente nel proprio ecosistema di riferimento, utilizzando in modo critico tutti i servizi disponibili, tra cui i ‘servizi culturali’. Questi ultimi sono pedagogicamente interpretabili in termini di “opportunità educative”, se considerati in una prospettiva complessiva di lifewide learning e di educazione informale. Tuttavia, l’insieme delle risorse umane e materiali non esprime in sé possibilità educative oggettivamente determinate: esse lo diventano solo se trasformate in risorse educative attraverso un processo intenzionale di liberazione delle potenzialità formative, grazie all’attivazione di capacità individuali e collettive.
|
Del Gobbo, G. 2025. Il capitale umano e sociale per la rigenerazione del paesaggio culturale del Casentino. Ricerca REACT, Università di Firenze. <https://doi.org/10.5281/zenodo.16649612> |
Le reti paesaggistiche e territoriali costituiscono una componente di rilievo dei paesaggi culturali delle aree interne italiane, assumendo un ruolo strategico nei processi di sviluppo sostenibile. Questi territori, infatti, custodiscono spesso un patrimonio di qualità, che rappresenta al tempo stesso elemento identitario e risorsa per la rigenerazione.
Le reti, intese come sistemi integrati di relazioni ecologiche, infrastrutturali e culturali che connettono elementi naturali e antropici, garantiscono la continuità funzionale, ecologica e culturale del territorio; possono assumere diverse connotazioni: dai sistemi naturali e seminaturali, come le reti fluviali e perifluviali, alle vie di comunicazione storiche e contemporanee, fino alla rete sentieristica.
Esse configurano un tessuto vivo che mette in relazione ecosistemi e comunità, assumendo la duplice natura di infrastrutture ecologiche e culturali. Offrono una pluralità di letture del paesaggio e orientano politiche e progetti, valorizzando il riconoscimento delle peculiarità territoriali. Queste vengono integrate con prospettive multiscalari di tutela e sviluppo, rafforzando la coesione comunitaria e la connettività territoriale, e promuovendo forme di cooperazione e attrattività locale (Benedict & McMahon, 2006).
Per comprendere appieno la rilevanza di queste reti nei contesti delle aree interne, è necessario leggerle nelle loro due principali dimensioni complementari: quella ambientale, orientata alla salvaguardia e alla capacità di erogare servizi ecosistemici, e quella culturale e insediativa, che rimanda alla storia delle relazioni tra comunità e paesaggio (Rossi, 2025). L’intreccio di queste due componenti definisce la qualità e la vitalità dei paesaggi interni, rivelando come le infrastrutture ecologiche e culturali contribuiscano alla costruzione di territori vitali, accessibili e riconoscibili, capaci di generare nuovi servizi, inclusi quelli di prossimità. Dal punto di vista ambientale, le reti ecologiche comprendono le infrastrutture verdi, costituite da reti di spazi naturali eterogenee – come parchi, giardini, foreste, aree agricole e corridoi ecologici – che forniscono servizi ecosistemici essenziali, e le infrastrutture blu, che includono corpi idrici quali fiumi, laghi, stagni e zone costiere. Queste due componenti, strettamente interconnesse, svolgono una funzione essenziale di connessione tra habitat e di salvaguardia della biodiversità, mantenendo la permeabilità del territorio. Inoltre, contribuiscono alla resilienza dei paesaggi e al miglioramento della qualità della vita, rafforzando la capacità degli ecosistemi di adattarsi ai cambiamenti climatici e alle pressioni antropiche (Pappalardo, 2021).
In molte aree interne, la presenza di boschi, pascoli, corsi d’acqua e zone umide costituisce un patrimonio di straordinario valore, spesso poco conosciuto o scarsamente valorizzato, che può diventare leva per processi di rigenerazione ambientale e sociale. La valorizzazione di questi sistemi verdi e blu consente di mitigare gli effetti degli eventi estremi e il rischio idrogeologico e di migliorare il microclima e la vivibilità dei luoghi, promuovendo anche un uso sostenibile delle risorse naturali.
Dal punto di vista culturale e insediativo, le reti territoriali comprendono sentieri, mulattiere, strade poderali, tratturi e cammini storici che per secoli hanno connesso insediamenti, luoghi di culto, aree produttive e spazi naturali. Questi tracciati raccontano una storia di relazioni profonde tra comunità e paesaggio, spesso ancora leggibile nella geografia dei territori interni (Matteini, 2025). In contesti segnati dallo spopolamento e dall’abbandono, tali reti rappresentano un patrimonio da riscoprire e rigenerare, capace di rafforzare l’identità locale, attivare nuove forme di fruizione lenta e sostenibile, e favorire l’incontro tra abitanti, visitatori e territori.
A partire da queste considerazioni, emerge il ruolo abilitante delle reti paesaggistiche e territoriali per la rigenerazione del paesaggio culturale delle aree interne. Esse possono contribuire a migliorare l’accessibilità, la coesione, la riconnessione, la cooperazione e l’attrattività dei territori, integrando tutela ambientale, sviluppo locale sostenibile e valorizzazione delle risorse endogene.
Accanto a queste opportunità, permangono, tuttavia, alcune criticità che ne ostacolano la piena valorizzazione. La frammentazione ecologica e infrastrutturale, la perdita di continuità dei percorsi storici, la scarsa manutenzione dei tracciati e la debolezza della pianificazione intercomunale e del coordinamento multi-livello rappresentano ostacoli rilevanti. Le difficoltà di coordinamento tra enti, la carenza di competenze tecniche e conoscitive, nonché l’assenza di basi dati aggiornate, limitano l’attuazione di politiche integrate e l’adozione di strumenti efficaci di gestione territoriale. Inoltre, la mancanza di coerenza tra i diversi livelli di pianificazione – paesaggistica, strategica – può generare disallineamenti istituzionali e finanziari, rallentando i processi di attuazione e riducendo l’impatto delle azioni previste. Le criticità ambientali, amplificate dalla crisi climatica e da eventi estremi sempre più frequenti, richiedono un deciso rafforzamento degli assetti di rete e della manutenzione diffusa del territorio.
Nonostante tali difficoltà, le reti paesaggistiche e territoriali offrono una visione multiscalare e multifunzionale del territorio, in cui le connessioni ecologiche e infrastrutturali si intrecciano con le relazioni sociali e culturali, orientando politiche di rigenerazione basate sulla prossimità, sulla cura e sulla collaborazione, ponendo al centro la relazione tra comunità e ambiente, tra eredità territoriale e innovazione. La riattivazione dei sentieri storici, la riconnessione degli ecosistemi lungo le dorsali verdi e blu, la creazione di percorsi ciclopedonali e la gestione partecipata degli spazi collettivi costituiscono strumenti concreti per rafforzare il senso di appartenenza delle comunità e attrarre nuove forme di frequentazione e di economia territoriale.
In questa prospettiva, le reti paesaggistiche e territoriali si configurano come ossatura di un modello place-based, capace di coniugare coesione, sostenibilità e identità. Esse corrispondono alle sfide poste dalle trasformazioni climatiche e socio-economiche, contribuiscono a ricucire territori atomizzati a livello amministrativo e comunitario e generano connessioni e politiche multilivello e multisettoriali.
|
Lombardi, L., Castelli, C. & M. Giunti (2025). Ecosistemi e reti ecologiche nel paesaggio casentinese: valori, criticità e strumenti di tutela e valorizzazione. Ricerca REACT, Università di Firenze. <https://doi.org/10.5281/zenodo.16650412> Matteini, T. 2025. Attraverso i paesaggi culturali del Casentino. Note di ricerca sull’immaginario paesaggistico della “Valle Chiusa”. Ricerca REACT, Università di Firenze. <https://doi.org/10.5281/zenodo.16650911> Rossi, A. (2025). Dialettica territoriale e urbana tra aree montane e fondovalle dell’Arno. Ricerca REACT, Università di Firenze. <https://doi.org/10.5281/zenodo.16650122> |
Il capitale costruito delle aree interne italiane si configura come un tessuto architettonico ricco e stratificato, caratterizzato da sistemi insediativi diffusi e integrati nel contesto rurale, punteggiato, spesso, da emergenze monumentali di grande valore. Questo patrimonio capillare e radicato modella il paesaggio e rende tangibile il legame profondo tra le specificità del territorio e le comunità locali. Nei caratteri tipologici e costruttivi dell’architettura, sia vernacolare che monumentale, così come nelle forme insediative dei centri abitati, si riflettono i valori e i saperi delle comunità che li hanno generati. L’architettura vernacolare testimonia un patrimonio di conoscenze costruttive e saperi artigianali tramandato di generazione in generazione, mentre i grandi manufatti monumentali, civili o religiosi, raccontano la lunga stratificazione storica e il radicamento delle popolazioni nei territori. Accanto alla dimensione materiale, esiste un patrimonio immateriale altrettanto significativo, connesso alla memoria collettiva, all’identità, alle pratiche sociali, di cui l’architettura è espressione tangibile e simbolica.
Nonostante questo valore, il patrimonio costruito delle aree interne si trova oggi esposto, a vari livelli di intensità, a fenomeni di progressivo abbandono e degrado fisico. Lo spopolamento colpisce in modo particolare gli insediamenti collocati in contesti più remoti e marginali. Tuttavia, questo fenomeno non si traduce esclusivamente in un esodo verso le aree urbane, ma può manifestarsi anche attraverso una redistribuzione demografica interna all’area stessa. Nel corso del XX secolo, profonde trasformazioni territoriali hanno favorito la nascita di nuovi insediamenti residenziali in zone più accessibili, spesso localizzate a valle o in prossimità delle nuove aree industriali, che hanno determinato un progressivo svuotamento dei centri abitati storici delle zone di alta collina e montane. Il patrimonio edilizio tradizionale è stato spesso percepito come obsoleto e poco adatto a soddisfare le esigenze dell’abitare contemporanee, anche a causa della carenza di servizi e del progressivo declino delle attività produttive locali. I nuovi insediamenti hanno in molti casi compromesso la coerenza architettonica del territorio, determinando la perdita delle caratteristiche tipologiche, materiche e tecnologiche dell’edilizia storica locale, sostituendola con edifici standardizzati e decontestualizzati. Questo processo ha indebolito fortemente il legame tra comunità locali e memoria storica dei luoghi. In questo contesto, molti edifici e complessi storici soffrono di una cronica carenza di manutenzione, risultano frequentemente dismessi, abbandonati o utilizzati solo in modo stagionale. La perdita di questo patrimonio costituisce non solo un danno materiale, ma anche culturale, compromettendone il valore storico e identitario dei luoghi.
La progressiva perdita del presidio sociale causato dallo spopolamento espone il capitale costruito a rischi crescenti, tra cui la difficoltà di garantire una manutenzione costante nel tempo, assicurare la fruizione pubblica del patrimonio culturale e prevenire usi impropri, trasformazioni non autorizzate e pratiche speculative. In alcuni casi, l’abbandono da parte della comunità locale lascia spazio a dinamiche turistiche potenzialmente dannose: nei centri storici più antichi e più attrattivi, la diffusione di affitti brevi o stagionali rende più difficile l’accesso alla casa per i residenti, minando la vivibilità delle comunità locali e accelerando processi di esclusione e marginalizzazione (D’Armento, 2021).
Allo stesso tempo, il patrimonio architettonico, nella sua duplice valenza materiale e immateriale, rappresenta un’opportunità strategica per il rilancio e la rigenerazione dei territori delle aree interne.
La pandemia di Covid-19 ha contribuito a riconsiderare le aree interne come luoghi di qualità della vita, grazie alla disponibilità di spazi aperti, aree verdi, aria pulita e quiete (Fabbricatti et al., 2022). Riabitare l’ambiente costruito delle aree interne, sia esso di pregio storico o patrimonio edilizio ordinario, significa riconoscerne un valore latente, portatore di significati storici e documentali, profondamente radicato nei contesti culturali, ambientali, sociali in cui si inserisce. Perché questo potenziale possa tradursi in una reale leva di sviluppo territoriale, è necessario agire, da un lato, sul rafforzamento delle condizioni di attrattività e accessibilità dei territori marginali, dall’altro, sulla sperimentazione di forme innovative dell’abitare, capaci di integrare nuovi servizi e produzioni, con soluzioni flessibili e sostenibili dal punto di vista ambientale e paesaggistico (Gibello, 2025).
Il recupero e la riconversione del patrimonio costruito abbandonato o sottoutilizzato possono inoltre aprire la strada a nuove funzioni, tra cui quelle turistico-ricettive. Modelli innovativi di ospitalità, basati su forme di gestione cooperativa e strategie di valorizzazione del territorio, possono favorire la nascita di nuove economie locali resilienti, promuovere un turismo sostenibile e rafforzare il legame tra comunità e territorio.
Le emergenze architettoniche, in quanto elementi identitari del territorio, possono infine rappresentare potenziali catalizzatori di sviluppo, divenendo elementi chiave per attivare percorsi di rigenerazione sostenibili e durevoli nel tempo. Per superare le difficoltà legate alle attività di tutela e valorizzazione, appare necessario adottare una prospettiva territoriale ampia e integrata, capace di oltrepassare i confini amministrativi e costruire reti e aggregazioni di risorse e di patrimoni affini, al fine di mettere in luce visioni condivise e rafforzare la capacità dei territori di attivare strategie comuni di sviluppo.
|
Matracchi, P. & G. Pancani. 2025. Il Casentino delle pievi, dei castelli e dei borghi. Ricerca REACT, Università di Firenze. <https://doi.org/10.5281/zenodo.16650569>. Rossi, A. 2025. Dialettica territoriale e urbana tra aree montane e fondovalle dell’Arno. Ricerca REACT, Università di Firenze. <https://doi.org/10.5281/zenodo.16650122> |
Ultimo aggiornamento
01.12.2025